1. |
Come Quando Fuori Piove
04:48
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ch'u-m sciupess e' côr
ad vdét
sĕza sintí l'udór
ch'u-m s-ciupess la tësta
ësar un burdël
sěza avé 'na fësta
l'è bël e' böt e mëz
la lõna l'è sóra la teraza
a-m veg da d-luntãn
e' parëva ch'ui fos d'la gvaza sóra la mi faza
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2. |
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Lalla, il tuo amore mi macera
Invano tento di nasconderlo
Se tu non esitassi perdio! Perdio!
Mi attaccherei alla sua bocca
Alle tempie, alle guance
La sua voce mi diletta
ha pelle di seta
Ha la nuca più bella
Che il collo di un puledro
Il mantello dell’alba
Cucito addosso con fili di rugiada
Lei colma del sapore del campo
Ma tu Signore dov’eri ieri a mezzanotte?
Mi piace tenere una mano contro il petto
Sentire più forte
correre il sangue
Domandati l’aria
Che fine abbia fatto
Non lo so se c’era la luna
Quando ti hanno inginocchiata dentro quella fossa di zolfo
Ma le stelle tutte, non ne mancava una
E non una parola perché figlie del cielo
La sua figa era una telaragna
Un imbuto di seta
Una porta, la faccia del Signore
La sua lingua.
Nella notte solo una focarina
Che faceva la lingua al buio
Che addolciva il buio
Che reggeva il buio
In cima alla collina
Non lo so se c’era la luna
Quando ti hanno inginocchiata dentro quella fossa di zolfo
Ma le stelle tutte, non ne mancava una
E non una parola perché figlie del cielo
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3. |
Nel Giorno Dopo Di Dio
03:37
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Ho visto nitidamente Dio nel suo nulla prezioso.
Ed ho colto la mia occasione , inutile come spari al sole.
Inutile come spari al sole l'inconsistenza delle parole.
Ciondolante Cristo crivellato blasfemo deriso clonato
nell'ego suo effimero eretico. Nel giorno dopo di Dio.
Il giorno dopo cantavano: perpetua pace è il petrolio.
Ho visto anime lustre, divorate, frutti, tramonto.
Un lungo e acceso silenzio, lanterna per gl'occhi miei obliqui.
Brucia la campagna come i falò la sera, brucia la campagna
come i falò la sera.
Otto donne chiudono il cerchio. E sette teste di legno.
E sette teste di moro. E stette teste di morto.
Pensate al buio dei prati, udire gemere i fiori.
Pensate all'odio nei secoli, udire gemere i preti.
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4. |
Io Non Ho Mani
04:11
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Io non ho mani
è la memoria una distesa
di campi assopiti e i ricordi
in essa chiomati di nebbia e di sole.
Io non ho mani
che mi accarezzino il volto
il cielo è troppo vasto e alto
perchè risuoni di questi sospiri immaginari.
Io non ho mani
Mentre il mondo fuori tace
intorno a loro che se ne sono esclusi
silenziose carogne di rapaci.
Io non ho mani
sarà il tempo sempre breve
ed un passato ricco di giorni
caduti addosso l'uno dopo l'altro.
Io non ho mani
e come puoi amarmi
se non vedo oltre la sponda dell'occhio
e piango solo dopo essere morto.
Io non ho mani
e non chiedermi nulla
sorge dalla febbre elettrica
la solitudine nella città invisibile.
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5. |
L'Artiglio
03:36
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Cos'è che in noi sogna ciò che sogniamo?
Forse i sogni sono i ricordi che l'anima ha del corpo.
Ne colgo appena lo strappo del lampo vacuo nel vespro.
La notte ha un lungo cammino davanti a sé.
Ti odo nel fluire della mente approfondire lontananze
nel cerchio di labbra sinuose, incidere a rughe segrete
la nostra maschera infelice, segnata di linea di sangue
sorriso di un volto notturno che muore.
Le tue mani si fanno come un soffio, carne inafferrabile. Vacillante.
Ti artiglio proprio all'ultimo.
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6. |
Ho Cercato I Tuoi Occhi
02:58
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Ho cercato i tuoi occhi. Ovunque potessi.
Sottoterra e sotto i ponti di Londra,
in becco ai corvi, tra le nubi pesanti in cielo.
Nel traffico e nell'assurdo caos cittadino.
Nei parchi tra i rami dove scoiattoli muti
nascondono foglie smeraldo e ghiande di bronzo.
Da un lato, all'altro del mondo.
In ogni casa. Ho cercato in ogni volto.
Dietro ogni triste tenda illuminata di rosse luci
dove senza fiato passano vite veloci.
Ho cercato nei bar di Soho, tra le crepe delle pietre giù in strada.
Tra i neri e gli ispanici, i banchi degli indiani.
Tutti. Nessuno ha saputo indicarmi dove.
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7. |
Papa Morte
05:11
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Amore, mio giovine emblema,
tornato a dorare la terra,
diffuso entro il giorno rupestre,
è l'ultima volta che miro
(appiè del botro, d'irruenti
acque sontuoso, d'antri
funesto) la scia di luce
che pari alla tortora lamentosa
sull'erba svagata si turba.
Amore, salute lucente,
mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,
scivolerò nell'acqua buia
senza rimpianto.
Morte, arido fiume...
Immemore sorella, morte,
l'uguale mi farai del sogno
baciandomi.
Avrò il tuo passo,
andrò senza lasciare impronta.
Mi darai il cuore immobile
d'un iddio, sarò innocente,
non avrò più pensieri né bontà.
Colla mente murata,
cogli occhi caduti in oblio,
farò da guida alla felicità.
Ehi Papà Morte, a casa volo
Ehi pover'uomo, sei tutto solo
Ehi vecchio babbo, vado, lo so
Papà Morte, non pianger più
Mamma è la, sotto assi laggiù
Fratel Morte, a bottega pensaci tu
Vecchia Zia Morte, ossa ne hai tante
Vecchio Zio Morte, sento i tuoi pianti
Sorella Morte, dolci lamenti
Oh Figlio Morte respira forte
Su un seno affranto t'avvolge Morte
Pena finì, lacrime scomparse.
Genio Morte, tua arte si compì
Amante Morte il tuo corpo sparì
Papà Morte, a casa sì.
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8. |
Il Cavallo Di Torino
04:06
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Un pomeriggio di metà marzo
prendo un sasso bianco
dal vaso di fiori e lo metto in tasca.
Andiamo il nonno è morto.
Ti do la vita perché ne ho abbastanza, della mia.
Tutto il mondo è cenere
nell'ora in cui il sole bacia
e ancor non brucia. Mi nascondo
nell'ombra di ciglia serrate.
Nel buio del grido che esce dalla sua gola.
Facciamo a polpette i cavalli
e tiriamo giù tutte le torri.
Bianco neon sdentato, accartocciato.
Ora terra e cielo sono un brivido forte.
Beati voi, se pur non avendo visto, crederete.
Silenzio umido di nebbia
di calzini, di somatosi.
D'insonnia curata male
di vino di ieri sera .
Ti do la vita perché ne ho abbastanza, della mia.
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9. |
Salmo
02:38
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Dio che non esisti, ti prego, si salvi chi può.
dagl'occhi tuoi torbidi e angelici , ti prego, si salvi chi può.
Dai seni gravidi di vertigine , ti prego, si salvi chi può.
Dio che mai appari, ti prego si salvi chi può.
Anche se t'ho qui quasi al mio fianco, ti prego, si salvi chi può.
Con la mente e i suoi tarli stavo giocando . Ti prego, si salvi chi può.
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10. |
Quindici Secoli
05:58
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Quindici secoli di solitudine tanto parve lungo
il distacco
- Perché non impugni una pistola?
Riesci ancora a respirare?
Come puoi resistere?
Chiese il suicida all’orfano.
- Vedo la mia fede
intrappolata nel suo stesso tempio.
Rispose.
Plotone d’esecuzione cercasi
astenersi perditempo
massima serietà.
Come pensi possano crederti onesto dopo tutto questo casino?
Puoi decidere, ma non negare l’ovvio.
Sveglia!
L’anno scorso era un anno fa; nient’altro.
Non eravamo più giovani allora, né ora siamo invecchiati.
Probabilmente non saremo davvero morti quando moriremo,
e comunque la mia generazione, noi,
non siamo mai stati niente, neanche soldati.
Noi siamo gli insultati, i figli desolati,
sonnambuli per una terra buia e terribile,
dove la solitudine è un coltello ingrassato alla nostra gola.
Stelle fredde ci guardano,
stelle fredde e puttane.
Le ragazze tornano dai balli d’estate
rubandoci l’occhio che spia sulle nostre vite
non cedere ai loro fischi, ai loro culi di panna montata
disco-sirene da esportazione.
Il simbolo del fallo si erge proteso
sul piatto felice della bilancia che lo porge all’amore.
È più pesante di qualunque frutto della terra.
Afrodite sorride tra le ombre sentendo il mare pulsarle nelle natiche.
Ricordi Eric l’egiziano?
Che tipo! Così fiero del suo membro
e della telecamera nascosta
ai piedi del letto,
con il telecomando nella tasca dei pantaloni che lui stesso, ancora indossa,
ride e gesticola le smorfie dei bambini teste di cazzo
mentre quella turista dall’accento padano,
glielo succhia, mostrando il buco di culo all’obiettivo,
mi crederebbe se le dicessi
che ho scritto una poesia dopo essermi masturbato
guardandoli?
Otto volte su dieci al negro piace essere chiamato negro.
Otto volte su dieci alla troia piace essere chiamata troia.
La rete è ovunque
la rete azzera il tatto
sotterra l’immaginario
lo sforzo del pensiero erotico
la visione oltre lo sguardo.
Esagera l’eiaculazione precoce, l’invidia
rende liberi, forse celebri
barattoli di latta, carne da macello mediatico
guardoni da tartufo
paillette e capezzoli per colazione.
Ecco dunque il ritorno dell’amore tra insigni rovine.
Dove il pianto è un angelo immenso,
dove il pianto è un cane immenso,
dove il pianto è un immenso violino.
Decine di melodie precedono il sonno
e il sonno è una marea profonda e con molte voci.
Penso alla guerra.
Guerra aerea.
Guerra navale.
Guerra terrestre.
Guerra atomica.
Guerra chimica.
Guerra batteriologica.
Guerra difensiva.
Guerra di liberazione.
Guerra d’indipendenza.
Guerra civile.
Guerra intestina.
Fare la guerra.
Essere sul piede di guerra.
Guerra partigiana.
Guerra mondiale.
Guerra stellare.
Guerra di logoramento.
Guerra di posizione.
Guerra lampo.
Zona di guerra.
Crimine di guerra.
Legge di guerra.
Tribunale di guerra.
Guerra economica.
Guerra commerciale.
Guerra dei prezzi.
Guerra doganale.
Guerra tariffaria.
Guerra fredda.
Guerra dei nervi.
Guerra psicologica.
Guerra contro la corruzione.
Guerra agli sprechi.
Guerra alla mafia.
Guerra per la libertà.
Guerra democratica.
Guerra giusta.
Guerra religiosa.
Guerra riformista.
Guerra agli eretici.
Guerra agli idoli.
Guerra romantica.
Guerra al corpo.
Guerra allo spirito.
Guerra per la pace.
Guerra per la pace.
Guerra per la pace.
La guerra passata come un tornado, tra le steppe,
nelle pianure del pane che cresce,
dai giardini dei limoni agli acquitrini di luce e sale.
Penso che l’Italia sia stata venduta
fiume dopo fiume, monte dopo monte, mare dopo mare.
Domando che la razza umana
smetta di moltiplicare la sua stirpe
ed abbandoni la scena
cavalcando un valzer, passione del mio popolo,
non inquinato dalle epilettiche volgarità d’oggi,
un valzer da concedersi perdutamente,
che stemperi
nella pura ambra dell’albana
l’accidia dei nostri occhi porcini.
Scostatevi vacche
che la vita è breve!
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