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ASA NISI MASA

by Collettivo Ginsberg

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1.
ch'u-m sciupess e' côr ad vdét sĕza sintí l'udór ch'u-m s-ciupess la tësta ësar un burdël sěza avé 'na fësta l'è bël e' böt e mëz la lõna l'è sóra la teraza a-m veg da d-luntãn e' parëva ch'ui fos d'la gvaza sóra la mi faza
2.
Lalla, il tuo amore mi macera Invano tento di nasconderlo Se tu non esitassi perdio! Perdio! Mi attaccherei alla sua bocca Alle tempie, alle guance La sua voce mi diletta ha pelle di seta Ha la nuca più bella Che il collo di un puledro Il mantello dell’alba Cucito addosso con fili di rugiada Lei colma del sapore del campo Ma tu Signore dov’eri ieri a mezzanotte? Mi piace tenere una mano contro il petto Sentire più forte correre il sangue Domandati l’aria Che fine abbia fatto Non lo so se c’era la luna Quando ti hanno inginocchiata dentro quella fossa di zolfo Ma le stelle tutte, non ne mancava una E non una parola perché figlie del cielo La sua figa era una telaragna Un imbuto di seta Una porta, la faccia del Signore La sua lingua. Nella notte solo una focarina Che faceva la lingua al buio Che addolciva il buio Che reggeva il buio In cima alla collina Non lo so se c’era la luna Quando ti hanno inginocchiata dentro quella fossa di zolfo Ma le stelle tutte, non ne mancava una E non una parola perché figlie del cielo
3.
Ho visto nitidamente Dio nel suo nulla prezioso. Ed ho colto la mia occasione , inutile come spari al sole. Inutile come spari al sole l'inconsistenza delle parole. Ciondolante Cristo crivellato blasfemo deriso clonato nell'ego suo effimero eretico. Nel giorno dopo di Dio. Il giorno dopo cantavano: perpetua pace è il petrolio. Ho visto anime lustre, divorate, frutti, tramonto. Un lungo e acceso silenzio, lanterna per gl'occhi miei obliqui. Brucia la campagna come i falò la sera, brucia la campagna come i falò la sera. Otto donne chiudono il cerchio. E sette teste di legno. E sette teste di moro. E stette teste di morto. Pensate al buio dei prati, udire gemere i fiori. Pensate all'odio nei secoli, udire gemere i preti.
4.
Io non ho mani è la memoria una distesa di campi assopiti e i ricordi in essa chiomati di nebbia e di sole. Io non ho mani che mi accarezzino il volto il cielo è troppo vasto e alto perchè risuoni di questi sospiri immaginari. Io non ho mani Mentre il mondo fuori tace intorno a loro che se ne sono esclusi silenziose carogne di rapaci. Io non ho mani sarà il tempo sempre breve ed un passato ricco di giorni caduti addosso l'uno dopo l'altro. Io non ho mani e come puoi amarmi se non vedo oltre la sponda dell'occhio e piango solo dopo essere morto. Io non ho mani e non chiedermi nulla sorge dalla febbre elettrica la solitudine nella città invisibile.
5.
L'Artiglio 03:36
Cos'è che in noi sogna ciò che sogniamo? Forse i sogni sono i ricordi che l'anima ha del corpo. Ne colgo appena lo strappo del lampo vacuo nel vespro. La notte ha un lungo cammino davanti a sé. Ti odo nel fluire della mente approfondire lontananze nel cerchio di labbra sinuose, incidere a rughe segrete la nostra maschera infelice, segnata di linea di sangue sorriso di un volto notturno che muore. Le tue mani si fanno come un soffio, carne inafferrabile. Vacillante. Ti artiglio proprio all'ultimo.
6.
Ho cercato i tuoi occhi. Ovunque potessi. Sottoterra e sotto i ponti di Londra, in becco ai corvi, tra le nubi pesanti in cielo. Nel traffico e nell'assurdo caos cittadino. Nei parchi tra i rami dove scoiattoli muti nascondono foglie smeraldo e ghiande di bronzo. Da un lato, all'altro del mondo. In ogni casa. Ho cercato in ogni volto. Dietro ogni triste tenda illuminata di rosse luci dove senza fiato passano vite veloci. Ho cercato nei bar di Soho, tra le crepe delle pietre giù in strada. Tra i neri e gli ispanici, i banchi degli indiani. Tutti. Nessuno ha saputo indicarmi dove.
7.
Papa Morte 05:11
Amore, mio giovine emblema, tornato a dorare la terra, diffuso entro il giorno rupestre, è l'ultima volta che miro (appiè del botro, d'irruenti acque sontuoso, d'antri funesto) la scia di luce che pari alla tortora lamentosa sull'erba svagata si turba. Amore, salute lucente, mi pesano gli anni venturi. Abbandonata la mazza fedele, scivolerò nell'acqua buia senza rimpianto. Morte, arido fiume... Immemore sorella, morte, l'uguale mi farai del sogno baciandomi. Avrò il tuo passo, andrò senza lasciare impronta. Mi darai il cuore immobile d'un iddio, sarò innocente, non avrò più pensieri né bontà. Colla mente murata, cogli occhi caduti in oblio, farò da guida alla felicità. Ehi Papà Morte, a casa volo Ehi pover'uomo, sei tutto solo Ehi vecchio babbo, vado, lo so Papà Morte, non pianger più Mamma è la, sotto assi laggiù Fratel Morte, a bottega pensaci tu Vecchia Zia Morte, ossa ne hai tante Vecchio Zio Morte, sento i tuoi pianti Sorella Morte, dolci lamenti Oh Figlio Morte respira forte Su un seno affranto t'avvolge Morte Pena finì, lacrime scomparse. Genio Morte, tua arte si compì Amante Morte il tuo corpo sparì Papà Morte, a casa sì.
8.
Un pomeriggio di metà marzo prendo un sasso bianco dal vaso di fiori e lo metto in tasca. Andiamo il nonno è morto. Ti do la vita perché ne ho abbastanza, della mia. Tutto il mondo è cenere nell'ora in cui il sole bacia e ancor non brucia. Mi nascondo nell'ombra di ciglia serrate. Nel buio del grido che esce dalla sua gola. Facciamo a polpette i cavalli e tiriamo giù tutte le torri. Bianco neon sdentato, accartocciato. Ora terra e cielo sono un brivido forte. Beati voi, se pur non avendo visto, crederete. Silenzio umido di nebbia di calzini, di somatosi. D'insonnia curata male di vino di ieri sera . Ti do la vita perché ne ho abbastanza, della mia.
9.
Salmo 02:38
Dio che non esisti, ti prego, si salvi chi può. dagl'occhi tuoi torbidi e angelici , ti prego, si salvi chi può. Dai seni gravidi di vertigine , ti prego, si salvi chi può. Dio che mai appari, ti prego si salvi chi può. Anche se t'ho qui quasi al mio fianco, ti prego, si salvi chi può. Con la mente e i suoi tarli stavo giocando . Ti prego, si salvi chi può.
10.
Quindici secoli di solitudine tanto parve lungo il distacco - Perché non impugni una pistola? Riesci ancora a respirare? Come puoi resistere? Chiese il suicida all’orfano. - Vedo la mia fede intrappolata nel suo stesso tempio. Rispose. Plotone d’esecuzione cercasi astenersi perditempo massima serietà. Come pensi possano crederti onesto dopo tutto questo casino? Puoi decidere, ma non negare l’ovvio. Sveglia! L’anno scorso era un anno fa; nient’altro. Non eravamo più giovani allora, né ora siamo invecchiati. Probabilmente non saremo davvero morti quando moriremo, e comunque la mia generazione, noi, non siamo mai stati niente, neanche soldati. Noi siamo gli insultati, i figli desolati, sonnambuli per una terra buia e terribile, dove la solitudine è un coltello ingrassato alla nostra gola. Stelle fredde ci guardano, stelle fredde e puttane. Le ragazze tornano dai balli d’estate rubandoci l’occhio che spia sulle nostre vite non cedere ai loro fischi, ai loro culi di panna montata disco-sirene da esportazione. Il simbolo del fallo si erge proteso sul piatto felice della bilancia che lo porge all’amore. È più pesante di qualunque frutto della terra. Afrodite sorride tra le ombre sentendo il mare pulsarle nelle natiche. Ricordi Eric l’egiziano? Che tipo! Così fiero del suo membro e della telecamera nascosta ai piedi del letto, con il telecomando nella tasca dei pantaloni che lui stesso, ancora indossa, ride e gesticola le smorfie dei bambini teste di cazzo mentre quella turista dall’accento padano, glielo succhia, mostrando il buco di culo all’obiettivo, mi crederebbe se le dicessi che ho scritto una poesia dopo essermi masturbato guardandoli? Otto volte su dieci al negro piace essere chiamato negro. Otto volte su dieci alla troia piace essere chiamata troia. La rete è ovunque la rete azzera il tatto sotterra l’immaginario lo sforzo del pensiero erotico la visione oltre lo sguardo. Esagera l’eiaculazione precoce, l’invidia rende liberi, forse celebri barattoli di latta, carne da macello mediatico guardoni da tartufo paillette e capezzoli per colazione. Ecco dunque il ritorno dell’amore tra insigni rovine. Dove il pianto è un angelo immenso, dove il pianto è un cane immenso, dove il pianto è un immenso violino. Decine di melodie precedono il sonno e il sonno è una marea profonda e con molte voci. Penso alla guerra. Guerra aerea. Guerra navale. Guerra terrestre. Guerra atomica. Guerra chimica. Guerra batteriologica. Guerra difensiva. Guerra di liberazione. Guerra d’indipendenza. Guerra civile. Guerra intestina. Fare la guerra. Essere sul piede di guerra. Guerra partigiana. Guerra mondiale. Guerra stellare. Guerra di logoramento. Guerra di posizione. Guerra lampo. Zona di guerra. Crimine di guerra. Legge di guerra. Tribunale di guerra. Guerra economica. Guerra commerciale. Guerra dei prezzi. Guerra doganale. Guerra tariffaria. Guerra fredda. Guerra dei nervi. Guerra psicologica. Guerra contro la corruzione. Guerra agli sprechi. Guerra alla mafia. Guerra per la libertà. Guerra democratica. Guerra giusta. Guerra religiosa. Guerra riformista. Guerra agli eretici. Guerra agli idoli. Guerra romantica. Guerra al corpo. Guerra allo spirito. Guerra per la pace. Guerra per la pace. Guerra per la pace. La guerra passata come un tornado, tra le steppe, nelle pianure del pane che cresce, dai giardini dei limoni agli acquitrini di luce e sale. Penso che l’Italia sia stata venduta fiume dopo fiume, monte dopo monte, mare dopo mare. Domando che la razza umana smetta di moltiplicare la sua stirpe ed abbandoni la scena cavalcando un valzer, passione del mio popolo, non inquinato dalle epilettiche volgarità d’oggi, un valzer da concedersi perdutamente, che stemperi nella pura ambra dell’albana l’accidia dei nostri occhi porcini. Scostatevi vacche che la vita è breve!

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"Ci aveva già colpito in forma breve, quest'anno, il Collettivo Ginsberg. Un Ep di quattro brani lontano dall'eccellenza ma pieno di spunti interessanti, aveva indicato la band capitanata da Cristian Fanti sulla strada per la consacrazione, ma ancora alla ricerca di una propria strada che riuscisse a sganciarsi almeno in parte dall'evidente amore per Captain Beefheart e i Residents. Ci si credeva poco, in realtà, per quanto da almeno un anno a questa parte la Seamount e i suoi canali stampa non stessero facendo altro che spingere sul quartetto, annunciato in pompa magna di comunicato in comunicato come autore di un innovativo e visionario recupero delle sonorità no-wave.

Non ci credevamo, e forse sbagliavamo. Perché non sazi della breve prova di qualche mese fa, già in grado di trascinare su di loro una visibilità non proprio indifferente, i quattro hanno deciso di fare le cose in grande pubblicando sullo scadere dell'anno in corso “Asa Ni Masa”, dati alla mano il loro secondo album ma nei fatti il primo a consolidare la loro formazione e il loro sound. E se nel "fratello minore" predecessore potevano scovarsi le avvisaglie di un potenziale passo decisivo, questo nuovo lavoro è la dimostrazione materiale dell'avvenuta maturazione del frutto, l'avverarsi di una promessa che per molti non era forse nemmeno tale.

I modelli di riferimento sonori restano quelli già individuati in passato, ma l'elemento in più che segna il distacco verso la consacrazione è lo sviluppo della componente ermetica già palesatasi elemento più interessante e personale della loro miscela. Così, “Come quando fuori piove” pare essere strappata a un Death In June in giornata piovosa, “Io non ho mai” riversa litri di petrolio sul modello canzonettaro italiano, “Papa morte” potrebbe fungere da demone persino per i primi Litfiba e ancora “PPP” assomiglia a una marcia funebre nel cuore di Canterbury. La ricetta è decisamente più eterogenea e guarda per la prima volta a orizzonti totalmente nuovi, per quanto non manchino ritorni ai graffi chitarristici degli anni precedenti (l'estasi sanguinosa di “Canto erotico primitivo”, la fangosa “Io non ho mani”, la grezza “L'artiglio” e l'impazzita “Salmo”).

Altrove sembra farsi avanti una componente di stampo quasi cantautorale, non privo di un retrogusto marcatamente dada: “Ho cercato i tuoi occhi” improvvisa in chiave free-jazz su un tema da chansonnier, “Il cavallo di Torino” sembra quasi una parodia degli ultimi Baustelle, “Nel giorno dopo di Dio” si tiene in equilibrio precario tra cinismo e altered state e il furente recital “Quindici secoli” potrebbe appartenere senza problemi al repertorio degli ultimi Cccp.

Pronostici rispettati appieno, questa volta, per un gruppo che pare avviato – ora coi fatti molto più che con le parole – verso un posto da protagonista assoluto della non certo affollata via sperimentale del rock italiano. Un gruppo di cui, a conti fatti, avevamo davvero bisogno."
(Ondarock.it, 14/01/2014)

--- ENG

"Collettivo Ginsberg had already hit us shortly this year. An EP of four songs far from excellence but full of interesting ideas, had indicated the band led by Cristian Fanti on the way to the consecration, but still looking for its own way that could at least partially detach itself from the evident love for Captain Beefheart and the Residents. Little was believed, in reality, although for at least a year now Seamount and its press channels had been doing nothing but pushing on the quartet, announced with great pomp from release to release as author of an innovative and visionary sound recovery no-wave.

We didn't believe it, and maybe we were wrong. Because not satisfied with the short test of a few months ago, already able to drag a not quite indifferent visibility on them, the four decided to do things big by publishing "Asa Ni Masa" at the end of the current year, data their second album in hand but in fact the first to consolidate their formation and their sound. And if the signs of a potential decisive step could be found in the predecessor "younger brother", this new work is the material demonstration of the ripening of the fruit, the fulfillment of a promise that for many was perhaps not even such.

The sound reference models remain those already identified in the past, but the additional element that marks the detachment towards consecration is the development of the hermetic component already revealed, the most interesting and personal element of their mixture. So, "Like when it rains outside" seems to be torn from a Death In June on a rainy day, "I never have" pours liters of oil on the Italian songs model, "Papa morte" could act as a demon even for the first Litfiba and still "PPP" resembles a funeral march in the heart of Canterbury. The recipe is decidedly more heterogeneous and looks for the first time to totally new horizons, although there is no lack of returns to the guitar scratches of previous years (the bloody ecstasy of "primitive erotic song", the muddy "I have no hands", the raw "The claw" and the crazy "Psalm").

Elsewhere, an almost singer-songwriter component seems to come forward, not without a markedly dada aftertaste: "I looked for your eyes" suddenly in a free-jazz key on a chansonnier theme, "The horse of Turin" seems almost a parody of the last Baustelle, "In the day after God" is held in a precarious balance between cynicism and altered state and the furious recital "Fifteen centuries" could easily belong to the repertoire of the last CCCP.

Predictions fully respected, this time, for a group that seems to have started - now with deeds much more than with words - towards a place of absolute protagonist of the not crowded experimental way of Italian rock. A group that, on balance, we really needed."

(Ondarock.it, 14/01/2014)

credits

released October 20, 2013

Cristian Fanti - vocals, guitar (#1, #4), piano (#5), organs (#3, #8), theremin
Federico Visi - guitars, moog & synthesisers, autoharp
Alberto Bazzoli - piano, fender rhodes, organs
Gabriele Laghi - double bass, backing vocals
Eugenioprimo Saragoni - drums, percussions, backing vocals
Ronnaug Tingelstad - chorus (#2, #6)
Andrea Rocchi - dobro guitar (#5, #6, #7)

produced by Marco Bertoni & Collettivo Ginsberg
recorded, mixed and mastered by Marco Bertoni
at Dada Chef Studio, Bologna, Italy

lyrics & music by Collettivo Ginsberg
except #6: lyrics are a free interpretation of "Inno alla morte" by Giuseppe Ungaretti & "Father death blues" by Allen Ginsberg

concept & design by Collettivo Ginsberg
cover artwork by © Tim Roeloffs (roeloffs1.com)

special thanks: Werner Anderson, Tamara Ghelli, Beniamino Migliucci, Elisa Pinelli, Cecilia Romani, Francesco Tagliaferri, Paolo Visi

dedicated to our loved ones, living, dead and yet to be born

collettivoginsberg.com
seamount.co.uk

© Collettivo Ginsberg 2013 all rights reserved

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Collettivo Ginsberg Forli, Italy

Collettivo Ginsberg is an alternative and experimental music project led by italian singer-songwriter Cristian Fanti.

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